Il termine “capacità” identifica un concetto inteso in senso giuridico – per ciò detto anche “competenza legale” (competency nella terminologia anglosassone)-, che sta a indicare “qualcosa che distingue tra una persona che è in grado di prendere una decisione e la cui scelta va quindi rispettata (indipendentemente dalla ragionevolezza di tale decisione), e quella che necessita che altri decidano al suo posto”. Solo un giudice può pertanto dichiarare una personale legalmente incapace.
Nella considerazione del legislatore, persona fisica e capacità giuridica, rappresentano due facce della stessa medaglia e quindi l’evento nascita, sempre che si tratti di feto nato vivo, seppur per un solo istante, di per sé viene considerato idoneo e sufficiente a far accedere la nuova persona alla titolarità di diritti e doveri.
Perchè poi la persona effettivamente possa esercitare diritti e doveri è necessario che abbia raggiunto un grado di maturità psichica sufficiente, è necessario quindi che possieda la capacità di agire.
Sul piano clinico, la capacità, detta in questo ambito anche competenza clinica, definisce tutte quelle abilità individuali che permettono di compiere determinate azioni, più o meno complesse, dalle attività più elementari della vita quotidiana a complesse scelte economiche, e che poggiano sia sulle capacità decisionali del paziente sia sull’idoneità cognitiva al compito richiesto. La valutazioni di tali abilità è compito del clinico e rappresenta il cardine delle informazioni che permetteranno poi di prendere una decisione in abito giuridico.
Tale distinzione tra capacità giuridica e capacità clinica è basata sul ruolo di chi esamina, giudice o clinico, secondo le competenze assegnate a tali figure dalla società. Nello specifico, mentre i giudici hanno l’autorità di poter dichiarare un soggetto incapace solo all’interno di un contesto legale, i clinici fanno la stessa cosa nella pratica clinica quotidiana, quando per esempio chiedono ad un paziente il consenso al trattamento. I termini di capacità giuridica e capacità clinica distinguono tra giudizio legale e giudizio clinico, ma le conclusioni sono sovrapponibili.
Molteplici sono le aree della capacità umana che il clinico può essere chiamato a esaminare, spesso su richiesta di figure giuridiche (giudice, commissione medico-legale etc): la capacità di consentire a un trattamento, di votare, di testimoniare, di fare testamento, di gestire le proprie finanze, di guidare un’automobile, di detenere ed usare un’arma, di svolgere una professione ed anche la capacità matrimoniale.
La capacità di agire si identifica con “l’attitudine a esercitare diritti e adempiere agli obblighi compiendo manifestazioni di volontà produttive di effetti giuridici” (Puccini, 2003). Essa presuppone il possesso di qualità e caratteristiche innate (capacità giuridica, art 1c.c.) che possono “con il percorso maturativo verso la maggiore età, svilupparsi, affinarsi e modificarsi in senso positivo affinché il soggetto possa esprimersi autonomamente negli atti ordinari e straordinari della propria esistenza” (Giusti, 1999).
Si presume infatti che la persona, a 18 anni, abbia raggiunto una maturità psichica sufficiente ad adempiere ai diversi obblighi del convivere civile. Ed è proprio l’acquisizione della capacità di agire che consente al maggiorenne di far uso, in concreto, delle prerogative previste dalla legge. Da quel momento, il maggiorenne, potrà esercitare diritti e assumente obblighi.
Bianchi A., Macrì P.G. (2011) La valutazione delle capacità di agire, Cedam, Padova
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